Comunità Israelitica di Acqui

Nato a: Acqui Terme, via Saracco 1

La ricerca documentaria, la selezione delle fonti, il racconto sulla Comunità Israelitica di Acqui sono stati curati da Chiara Pipino, incaricata dalla Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura della Compagnia di San Paolo
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Nel profilo è utilizzato il termine "Comunità Israelitica", presente nelle pratiche EGELI secondo la denominazione del periodo.

Il progetto è aperto al contributo degli utenti: chi fosse in possesso di informazioni, documenti, fotografie utili a raccontare la vita di Comunità Israelitica di Acqui può scrivere a le-case-e-le-cose@fondazione1563.it

Cenni storici

Le prime attestazioni della presenza ebraica acquese risalgono al 1440, tuttavia la Comunità diventa più consistente dal 1570, quando viene concesso al rabbino Israel di aprire un banco di prestito. Con il passaggio dai Gonzaga ai Savoia sono estesi anche ad Acqui i provvedimenti degli altri territori savoiardi, tra cui l’istituzione del ghetto (1731), per il quale viene riadattato il quartiere vicino alla fonte Bollente. Qui si costruisce una nuova sinagoga all’ultimo piano di palazzo Viglino, utilizzata dal 1737. La Comunità segue le profonde trasformazioni che coinvolgono le istituzioni ebraiche. Dopo l’emancipazione concessa grazie allo Statuto albertino (1848), il sindaco Giuseppe Saracco stabilisce il risanamento di quest’area, ordinando la demolizione di molti edifici. In questo clima di rinnovamento, purtroppo ancora segnato da eventi drammatici come il pogrom del 1848, inizia la costruzione di una nuova sinagoga, affidata nel 1885 all’ingegnere Leale e inaugurata nel 1888. Nel 1930, secondo le disposizioni della legge Falco, la Comunità è accorpata a quella di Alessandria. Nel secondo dopoguerra il nucleo ebraico acquese diminuisce progressivamente e alla fine degli anni Sessanta la sinagoga, di cui alcuni arredi erano stati inviati ad Alessandria, viene venduta. A testimoniarne l’esistenza oggi rimane solo una lapide, all’esterno dell’edificio.

Autore: Chiara Pipino

Fonte: Archivio Ebraico Terracini, Contratti matrimoniali ebraici (ketubbot), 13, matrimonio tra Bona Miryam di Mošeh Ha-Kohen (Pavia) e Isra’el David di Šabbetai Le-bet Barukh, 8 novembre 1809

15 marzo 1945

«Elenco descrittivo dei beni immobili di proprietà della Comunità Israelitica di Alessandria sezione di Acqui»

Il 7 febbraio 1944, a pochi giorni di distanza dall’ordinanza di polizia n. 459 (28 gennaio 1944) che sanciva lo scioglimento delle Comunità Israelitiche, il capo della provincia di Alessandria decreta il sequestro della Comunità di Acqui. Nel verbale si fa riferimento ai «i locali di culto, abitazione del RABBINO e di affitto siti in via Giuseppe Saracco n° 1 in Acqui», mentre non vengono citate le altre pertinenze della Comunità, tra cui il cimitero e le numerose Opere Pie, che probabilmente subiscono la stessa sorte. Dalle scarse informazioni fornite dal compilatore del verbale pare che la casa del Rabbino Capo Adolfo Ancona fosse destinata ad abitazione di uno dei funzionari, delegati dall’Istituto San Paolo. Al rientro della Comunità sono numerosi i segni che testimoniano la vandalica occupazione dei locali: l’appartamento del Rabbino versa in uno stato di deturpazione e gran parte del patrimonio della sinagoga, della biblioteca e dell’archivio è stato disperso e rubato.

Autore: Chiara Pipino

Fonte: Archivio storico della Compagnia di San Paolo, III, Gestioni Egeli, Gestione ebraici sequestrati, 284

15 marzo 1946

La restituzione. Lettera del Rabbino Adolfo Ancona

La riconversione dell’EGELI da ente sequestratario a responsabile delle restituzioni comporta una ridefinizione delle funzioni, tra queste vi è la riscossione del rimborso per le spese sostenute durante la sua amministrazione. Questa imposizione suscita molte critiche all’interno delle Comunità ebraiche, come testimoniano numerose lettere. Tra queste quella del Rabbino Adolfo Ancona descrive «le disastrose condizioni della n. Confraternita di misericordia, condizioni che non ci permettono di far fronte alla v. richiesta per i lavori eseguiti nel tetto di questo fabbricato» per i danni causati dal bombardamento aereo del 20 marzo 1945. Nella speranza di ovviare a questa situazione e di giungere ad un accordo, l’Istituto San Paolo propone all’EGELI di procedere alla riconsegna dei beni di Acqui prima del versamento della quota prevista. La Comunità sarebbe rientrata in possesso dei beni a patto di riconoscersi debitrice nei confronti del credito fondiario. Purtroppo, i tempi non erano maturi per lasciare spazio a questo tipo di deroghe.
Nel 1956, a distanza di più di dieci anni dai primi provvedimenti sulle reintegrazioni dei beni ebraici, l’EGELI nazionale con sede a Roma, torna a sollecitare la Comunità per il versamento delle spese sostenute dall’Ente durante la sua gestione.

Autore: Chiara Pipino

Fonte: Archivio storico della Compagnia di San Paolo, III, Gestioni Egeli, Gestione ebraici sequestrati, 284

Documenti

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6 maggio 1945

Il Rabbino Adolfo Ancona

«I mesi passati erano stati vissuti dal Rabbino col gelo nelle ossa e nel cuore dopo la fuga precipitosa che lo aveva costretto a lasciare la sua casa di Acqui, la Sinagoga, parte della famiglia e soprattutto la sua amata Comunità dopo l’8 settembre 1943». (Meir Polacco, Paola Fargion, Il vescovo degli ebrei..., p. 15)

La Comunità di Acqui durante il tragico periodo della persecuzione nazi-fascista è guidata da Adolfo Salvador Ancona, Rabbino Capo di Alessandria, Acqui e Asti fino al 1952, anno della sua morte (dal 1941 è affiancato ad Alessandria dal vice Rabbino Capo Ruggero Coen). Il Rabbino Ancona trova rifugio a Terzo e Ponzone, dove per mesi è protetto con gesti di coraggiosa solidarietà da numerose persone della società civile del territorio. Tra questi vengono ricordati come Giusti tra le Nazioni l’allora podestà di Acqui Angelo Giacomo Carlo Moro e i coniugi Enrico Giuseppe Badarello e Mafalda Bosio Badarello. Dal giugno 1944 il Rabbino Ancona e il nipote Giorgio Polacco trovano rifugio a Stresa, dove vengono protetti dalla famiglia Padulazzi Ripossi presso la pensione Croce Bianca. Purtroppo, la persecuzione lascia un segno indelebile nella storia di questa famiglia: il periodo di clandestinità, la separazione dai propri cari e la perdita di uno dei figli Roberto Davide Ancona, che non farà più ritorno dai campi di sterminio.

Autore: Chiara Pipino

Fonte: archivio privato, per gentile concessione di Meir Polacco

Bibliografia

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