Stella Valabrega
Nato a: Torino (TO) il 10 giugno 1923
Di: Michele e Maria Irene Roscetti
Arrestato a: Torino il 5 dicembre 1943
Deportato a: Auschwitz il 22 febbraio 1944 (numero di matricola 75697)
Morto a: Chivasso il 9 ottobre 1978
Censimento ebraico 1938-1945
La ricerca documentaria, la selezione delle fonti, il racconto della Vita di Stella Valabrega sono stati curati da Victoria Musiolek e Matteo Succi, ricercatori incaricati dalla Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura della Compagnia di San Paolo.
Il progetto è aperto al contributo degli utenti: chi fosse in possesso di informazioni, documenti, fotografie utili a raccontare la vita di Stella Valabrega può scrivere a le-case-e-le-cose@fondazione1563.it
10 giugno 1944
Inventario ed elenco descrittivo degli oggetti pertinenti all’ebreo Valabrega Michele
Al 10 giugno 1944 risale l’inventario commissionato dall’Istituto San Paolo di Torino e descrivente gli oggetti presenti nell’alloggio abitato dalla famiglia Valabrega in via Po 25. Lo stesso alloggio, come recita il verbale: “situato al 3° piano […], fa parte di un grandioso fabbricato su quattro maniche parallele in mattoni e pietra risalente ad antica data” -, e poi prosegue “Lo stato di manutenzione della casa è discreto e l’alloggio h[a] qualche vetro rotto a causa delle recenti incursioni aeree nemiche. Anche le finestre, in cattivo stato d’uso, non chiudono bene”. Segue un lungo elenco, in cui nulla sfugge all’occhio vigile del perito, nel quale riporta scrupolosamente gli oggetti rinvenuti, quelli più comuni, lasciati o forse proprio abbandonati dagli stessi proprietari in grande fretta. Tra questi troviamo: “n. 4 Vecchie giacche varie da uomo”, “n. 1 Vestitino nero per ragazza (usatissimo)”, “n. 5 Pentole ed un piatto alluminio (usatissimi)”, unico segno tangibile della presenza di una famiglia nell’alloggio, un tempo abitato e al momento della stesura del verbale completamente deserto.
Autore: Victoria Musiolek
Documenti
[ -> ]Tre pietre d’inciampo sotto i portici di via Po 25
Sul ciottolato, di fronte al portone, dove una volta abitava Stella Valabrega assieme al padre Michele, alla madre Maria Irene Roscetti e al fratello segnano il passaggio tre pietre d’inciampo dedicate alla figlia e ai genitori, vittime della Shoah. La famiglia Valabrega, prelevata forzatamente dalla propria abitazione al mattino del 5 dicembre 1943, in seguito a un breve periodo di detenzione alle carceri Nuove di Torino, verrà deportata “per motivi razziali” prima nel campo di Fossoli e poi ad Auschwitz. Il viaggio verso l’ignoto costituirà l’ultima occasione l’ultimo momento in cui la famiglia rimarrà ancora unita. All’arrivo nel campo di sterminio Stella verrà separata bruscamente dai genitori che, per via della loro età (Michele è nato nel 1885, mentre Maria Irene nel 1892), verranno selezionati appena usciti dai vagoni piombati. Stella riceverà il numero di matricola 75697 e sarà l’unica superstite del nucleo famigliare deportato. Nello stesso convoglio, partito il 22 febbraio 1944 da Fossoli c’è anche Primo Levi.
Autore: Victoria Musiolek
Documenti
[ -> ]29 luglio 1939
Inosservanza a disposizioni della legge razziale
Probabilmente, nel tentativo di salvare i propri famigliari Michele Valabrega nella “denuncia dell’appartenenza alla razza ebraica” presso l’Ufficio di Stato Civile ha omesso intenzionalmente sua moglie e il secondogenito Gino. Il fatto non è sfuggito però al Podestà di Torino, che in seguito agli accertamenti sulla “posizione razziale”, in una missiva datata 29 luglio 1939 informa il Prefetto della Provincia di Torino di aver esposto denuncia nei confronti di Maria Irene Roscetti e Gino Valabrega, colpevoli di non aver rispettato l’art. 19 del Regio decreto-legge n. 1728/1938. Come nota lo scrivente: “In occasione del noto censimento ebraico del 22 agosto 1938 XVI è stata censita la famiglia dell’ebreo VALABREGA Michele – residente in via Po n° 25 – così composta: - VALABREGA Michele – capofamiglia – - ROSCETTI Maria in Valabrega – moglie – - VALABREGA Gino – figlio – - VALABREGA Aldo – figlio – - VALABREGA Stella – figlia – ” All’epoca nel censimento non è stato incluso il primogenito Mario. Il trasferimento dalla casa paterna sicuramente ha contribuito in qualche misura alla sua salvezza.
Autore: Victoria Musiolek
2 gennaio 1948
Stella Valabrega: la partigiana Lucia
Nell'ottobre del 1943, con il nome di battaglia "Lucia", la giovane Stella, la figlia di Michele Valabrega, era entrata nella Resistenza. La partigiana Lucia aveva operato nel gruppo De Franchi di Arcesaz - una frazione di Brusson, in Valle d'Aosta - inquadrata nella divisione Italo Rossi delle brigate "Matteotti" per circa due mesi. Fino al 5 dicembre 1943, quando viene arrestata insieme alla sua famiglia, tradotta nel carcere delle Nuove e deportata. Nel 1948 le viene riconosciuta la qualifica di partigiano combattente: il foglio notizie nel quale sono raccolte informazioni sulla sua attività nel movimento partigiano precisa che ha operato come "collegatrice tra la Banda Autonoma di Arcesaz e la squadra di Torino".
Autore: Victoria Musiolek
Fonte: Archivio centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Div. Gen. Pubblica sicurezza, Div. polizia politica, M-01875 © Archivio centrale dello Stato. Tutti i diritti riservati
Documenti
[ -> ]Numeri non più uomini
“Dopo alcuni giorni incominciò per noi un vero e triste calvario: Dall’Italia fummo trasportati ad Auswchtiz [sic] campo della morte per gli ebrei. Appena arrivati in quella località maschi e giovani vennero selezionati. Mi rammento che fui strappata tre volte dalle braccia della mia mamma e lei mi chiamava col nome più dolce Stellina, Stellina non lasciarmi così! Ma un’ufficiale tedesco mi strappò dalle sue braccia ebbe appena il tempo di darmi un bacio pareva lo sapesse era l’ultimo bacio che dava alla sua Stellina”, – tra le pagine di un taccuino Stella annota un ricordo che le è rimasto impresso, così come il suo tatuaggio – “A testimonianza di quell’esperienza orrenda porto un marchio indelebile sul braccio sinistro: 75697”, annota altrove.
Autore: Victoria Musiolek
1945
Il ritorno a casa
Stella è rimasta ad Auschwitz fino al 30 dicembre 1944, quando, in seguito ad una delle terribili “marce della morte” viene trasferita nel campo di Bergen-Belsen il 2 gennaio 1945. Il 15 aprile dello stesso anno il lager viene liberato dall’XI Divisione corazzata alleata, sotto la guida del generale britannico Montgomery. Dal 20 aprile al 26 agosto 1945 Stella è ad Hamburgo, in Svezia, dove viene curata in un ospedale alleato in seguito alle gravi condizioni sanitarie in cui versava al momento della sua liberazione dal lager. Il 27 agosto, rimessasi in buona salute e riallacciati i contatti con i fratelli rimasti in Italia tramite il Consolato, parte alla volta della Danimarca, prima tappa del viaggio di rimpatrio che terminerà il 1° settembre 1945.
Autore: Matteo Succi
Fonte: Archivio Ebraico Terracini, Comunità Ebraica di Torino, Fondi familiari, Versamento 2011, Stella Valabrega in Duretti
14 settembre 2016
“Memorie” del figlio Roberto
«Sono figlio di una donna che aveva un numero e un triangolo tatuato sul braccio sinistro. Quel numero era diventato il suo nome:
FÜNFUNDSIEBZIGTAUSENDSECHSHUNDERTSIEBENUNDNEUNZIG.
Ancora oggi lo so pronunciare in tedesco anche se non ricordo il relativo in italiano (75697). Il suono di quel numero si è impresso nella mia mente perché ho percepito sin da piccolo, che ricordare quella parola significava vivere.
Mia mamma venne arrestata a Torino insieme ai suoi genitori il 5 dicembre 1943 e portati alle carceri Nuove di Torino. Nel gennaio del 1944 furono trasferiti al campo di Fossoli vicino a Carpi (Modena). Il 22 febbraio 1944 un convoglio partiva da Fossoli destinazione Auschwitz. Il viaggio di quel convoglio è descritto nel libro “Se questo è un uomo” perché è lo stesso sul quale si trovava Primo Levi.
La sera del 26 febbraio 1944 il convoglio arrivò ad Auschwitz. I miei nonni vennero separati dalla figlia ventenne e avviati alle camere a gas e da lì ai forni crematori.
Mia mamma non ha mai nascosto nulla di quella terribile esperienza né a me né a mia sorella.
Ricordo che talvolta quando si svegliava dal suo riposo pomeridiano, sorseggiando una tazza di caffè, iniziava a raccontare. I suoi occhi sembravano guardare nel vuoto e le parole prendevano forma di cose orribili, di atrocità, di freddo, di fame. Si mescolavano diverse lingue nel racconto: le lingue del campo. Non erano racconti, quanto un vissuto che irrompeva con immagini e suoni e che premeva con la forza dell’ossessione.
Ora so che in quei momenti aveva il terrore di non essere mai uscita da quel campo».
Autore: Victoria Musiolek
Fonte: Archivio privato famiglia Duretti