AUSCHWITZ III-MONOWITZ

le Vite | Approfondimenti

Nella primavera del 1941, si diede il via alla collaborazione tra l’industria chimica tedesca I.G. Farben e le SS.

La IG Farben, nata nel 1925 a Francoforte dalla fusione di più industrie tedesche in gravi difficoltà in seguito al primo conflitto mondiale, era diventata uno dei maggiori gruppi chimici d’Europa e la più importante industria privata della Germania nazista.

L’installazione ad Auschwitz dello stabilimento della IG Farben per la produzione della Buna, una gomma sintetica ricavata dal carbone, fu favorita da più fattori tra cui principalmente le sovvenzioni dello Stato nazionalsocialista e le esenzioni fiscali decretate nel dicembre 1940 per le industrie che si fossero spostate nell’est occupato. La collaborazione con le SS fu incentivata dallo stesso Himmler per assicurare alle SS un potere economico con lo sfruttamento dei prigionieri del Lager e con l’avvio, all’interno del complesso di Auschwitz, di una produzione fondamentale per il sostegno del conflitto in atto. Himmler si recò ad Auschwitz il 1° marzo 1941 consentendo una rapida attuazione del progetto secondo il quale nella metà del 1943 si sarebbe dovuto iniziare la produzione della gomma sintetica. Nonostante l’alto numero di prigionieri destinato ai lavori, la costruzione della fabbrica procedeva a rilento poiché i detenuti dovevano percorrere a piedi ogni giorno i 7 km che separavano Auschwitz I dal cantiere e la loro resa produttiva era ancora più bassa anche a causa delle violenze, della scarsissima alimentazione e delle condizioni di lavoro proibitive. I vertici della IG Farben decisero di costruire a proprie spese un campo di concentramento a fianco del cantiere: fu scelta l’area di Monowitz, un villaggio di contadini. Secondo gli accordi la IG Farben avrebbe pagato alle SS tre/quattro marchi al giorno per lavoratore. Il Lager divenne operativo il 31 ottobre 1942 e vi furono trasferiti i primi 2.000 prigionieri, nel 1943 i detenuti divennero 7.000 e nel 1944 11.000. Complessivamente furono reclusi a Monowitz 35.000 deportati, in maggioranza ebrei, e più di 25.000 morirono di stenti, di fatica, di malattie. La IG Farben fu la prima industria tedesca ad assumere un ruolo attivo e consapevole nella soluzione finale; dal 1942 l’esempio fu seguito da altri stabilimenti industriali che si stabilirono nei pressi di Auschwitz per sfruttare il lavoro dei prigionieri.

La fabbrica della Buna non entrò mai in funzione e ancora nel gennaio 1945 (periodo della evacuazione del campo) lo stabilimento era in costruzione.

Dobbiamo a Primo Levi la descrizione di Monowitz, in Se questo è un uomo (Einaudi, Torino 1996, pp. 27-28). Il Lager era strutturato come gli altri campi di concentramento nazisti: un quadrato di circa seicento metri per lato circondato da doppio filo spinato di cui uno con corrente elettrica e torrette di guardia: sessanta baracche in legno, le cucine in muratura, le baracche delle docce e delle latrine. I blocks erano divisi in due parti, quella del kapo e quella dei prigionieri: nel dormitorio vi erano cuccette di legno a tre piani in cui dovevano dormire ammassati i deportati su un sacco di paglia per materasso e due coperte. In mezzo al campo c’era la piazza dell’appello per la conta dei prigionieri al mattino e alla sera al ritorno dal lavoro.

Le condizioni di vita erano spaventose, la sopravvivenza era normalmente di tre mesi a causa principalmente dello scarsissimo cibo che aggiunto al lavoro massacrante (fino a 12 ore al giorno) debilitava anche i fisici più forti e giovani. La costruzione della Buna procedeva più lentamente di quanto i dirigenti della IG Farben avevano previsto, e non bastò un aggravio di violenza e di terrore per migliorare la produttività dei lavoratori schiavi, ridotti a scheletri denutriti. Anche a Monowitz, come negli altri sottocampi di Auschwitz, vigeva la selezione di coloro che non erano più in grado di lavorare e per loro c’erano le camere a gas di Birkenau o le iniezioni di fenolo.

CREDITI

Selezione delle fonti e stesura del testo a cura di Antonella Filippi; fotografie di Lino Ferracin e Antonella Filippi.

FONTI

La bibliografia sui campi di concentramento e di sterminio, in particolare su KL Auschwitz, è molto vasta; di seguito si fornisce un elenco dei volumi consultati per la stesura del testo.

AA.VV., Auschwitz. Il campo nazista della morte, Edizioni del Museo Statale di Auschwitz-Birkenau, 1997

Danuta Czech, Kalendarium: gli avvenimenti nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, 1939-1945, Mimesis, Milano 2006

Raul Hilberg, La distruzione degli Ebrei d’Europa, Einaudi, Torino 1999

Hermann Langbein, Uomini ad Auschwitz. Storia del più famigerato campo di sterminio nazista, Mursia, Milano 1984

Primo Levi, Leonardo De Benedetti, Così fu Auschwitz.Testimonianze 1945-1986, Einaudi, Torino 2015

Sybille Steinbacher, Auschwitz. La città, il lager, Einaudi, Torino 2005

Shlomo Venezia, Sonderkommando Auschwitz, Rizzoli, Milano 2007

Sitografia

ANED-Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti, http://www.deportati.it/, consultato il 19 dicembre 2019 ( archiviato 15 settembre 2019).

Museo Nazionale di Auschwitz-Birkenau, http://auschwitz.org/en/more/italian/, consultato il 28 novembre 2019 ( archiviato 22 maggio 2019), versione in lingua italiana.

Museo Nazionale di Auschwitz-Birkenau, http://www.auschwitz.org/, consultato il 24 gennaio 2020 ( archiviato 15 gennaio 2020), versione integrare, in lingua inglese/polacca.

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